Era una bella mattinata padana, di quelle lucide, sul Po.
Che poi sarebbe meglio chiamarlo col suo nome locale mantovano il fiume, un nome al femminile: la Fiöma, così dicono i locali in zona Suzzara. Forse a ricordare quest’acqua a volte gigante delle piene, ma oggi con i 36 gradi padani e la siccità poco più di un rigagnolo, come madre opulenta e affettuosa e non come padre severo.
Ma quella mattina di anni fa di acqua ce n’era tanta nel Po.
Tutto era pronto: la barca capiente, al batel, il nocchiero esperto e il vecchio barcone in cemento in secca sull’isola fluviale che avrebbe accolto le ronzanti.
Quella mattina, quando arrivò il furgone guidato da Andrea, partiva il più bel progetto che io, Karis e Andrea avessimo mai pensato e poi realizzato insieme: nascevano i “Mieli del Po”. La riproposizione in tempi e con materiali moderni dell’antica pratica dell’apicoltura su barca attuata in epoca romana sul grande fiume. Un bel progetto, una sfida ricordando Plinio il Vecchio che ne scrisse, ricordando Melara, ara dei mieli, e Ostiglia da dove i mieli del Po partivano per Roma.
Otto alveari venivano posti sull’isola dei Conigli, su un barcone pontiere in cemento che aveva galleggiato per anni, ma che ora giaceva immobile tra le onde delle ortiche. Un barcone fermo in secca su un’isola alberata e grande che sembrava, lei sì, una grande nave in mezzo al fiume; come a rappresentare tutte le piccole barche che in epoca romana partivano cariche di rozzi alveari in paglia e fango e che con la bassa estiva risalivano il fiume in cerca di bottinature buone tra sponde e golene, quelle che avrebbero dovuto, tramite le api, rifornire Roma del suo dolcificante unico e magico: il miele delle foreste planiziali padane. Quei luoghi allora erano artefici di produzioni mellifere straordinarie, sia per qualità che per quantità.
Andrea, poche settimane prima dell’approdo delle arnie sulla barca e verso l’isola, preparò e pensò il tutto con diversi sopralluoghi in zona (fu molto meticoloso in quella fase, attento ad ogni particolare che sarebbe sfuggito ai più, ma non a lui) e m’insegnò molto, camminando su e giù per gli argini golenali. Ad esempio il fatto che le api in situazione di caldo soffocante padano e di umidità simil-tropicale dessero sempre il meglio di sé. A volte in quei luoghi umidissimi avrebbero potuto bottinare anche di notte se la luna fosse stata bella e luminosa e le temperature fossero rimaste, come spesso succede in certe notti padane (tra cosce e zanzare come canta il Liga), vicine ai trenta gradi.
Non credetti e rimasi scettico, ma dovetti ricredermi qualche settimana dopo, quando le otto arnie erano oramai al quarto melario colmo e i chilogrammi di miele ricavati alla fine furono stupefacenti. Significava che avevano forse bottinato anche e proprio durante la notte? Incredibile ma vero, si potrebbe dire in questi casi.
Bene, molto bene, così il progetto Mieli del Po andò in porto. Ne parlò persino la Rai con il bellissimo servizio realizzato dal grande amico fraterno di Andrea,e noto giornalista trentino, Nereo Pederzolli, che venne sul Po a filmare le api in barca e a realizzare interviste esaustive.
Ricordi che vengono alla mente oggi che sono passati anni oramai da quando quel furgone, quella mattina, portò sul Po e su una sua isola la vita ronzante. Lo stesso furgone poi che molti anni dopo tragicamente la vita di Andrea Paternoster, il re metaforico delle api e dei mieli, se la riprese in uno scontro mortale sulla A22. E proprio da poche parole scritte da Nereo su FB appresi ciò che mai avrei voluto leggere.
Non scrissi nulla sulla morte di Andrea in quei giorni di dolore. Non ne fui capace. La commozione fu più forte della mia penna. I coccodrilli non mi sono mai piaciuti.
Oggi, mentre termino la mia smielatura, quella dei mieli delle mie api viennesi, voglio scriverne proprio perché nessuno ne scrive più, proprio ora che le righe che Andrea avrebbe scritto nella sua pagina FB sarebbero state piene di pensieri sulle api e sul loro immenso ed estenuante lavoro estivo.
Voglio scriverne per dire che molto di quello che oggi riempie i miei vasetti con i mieli viennesi e la mia testa di pensieri ronzanti lo devo ad Andrea. Andrea, grande Maestro di api e botanica, che difficilmente condivise con altri, progetti di mieli che non fossero totalmente venuti dalla sua genialità, ma che con i Mieli del Po e poi con i mieli delle Planiziali Padane del Bosco delle Bertone mi fece quel regalo immenso di lasciarmi lavorare e imparare al suo fianco. Regali che condivido ancor oggi con la carissima Karis Davoglio, mia socia in quei progetti, regali che furono, che sono e rimangono per noi preziosi e unici.
Poche settimane fa, infine, una mattina, lessi sulla pagina Mieli Thun di FaceBook brevi righe dolorose e commoventi delle figlie di Andrea che, con coraggio, hanno preso tra le loro mani oggi i ronzii e gli straordinari progetti di mieli che erano stati pensati da Andrea. Lessi di un abominevole furto. 36 arnie rubate in un terroir mellifero che Andrea aveva scoperto e progettato in Laguna Veneta con un’intuizione geniale. Per atti come questo e dopo ciò che è accaduto a chi quelle arnie conduceva non ci sono parole. Solo disprezzo. Ma saranno i fatti, i nuovi mieli che nasceranno nonostante tutto a rispondere con la bellezza della dolcezza ad un atto brutale e vigliacco.
Oggi dedico i miei mieli 2021 ad Andrea e so che, da qualunque luogo in cui lui sia, apprezzerà. Le mie api ieri mi hanno detto ronzando che… sono pienamente d’accordo.
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