Già, si potrebbe coniare un nuovo termine per definire la sua sfumatura e chiamarla ‘verde spigarello’, tanto è particolare il colore delle sue foglie sottili, slanciate – quasi spighe appunto – e riccioline: un grazioso mazzolino da cui fanno capolino a contrasto – quando è tempo – delicati fiorellini bianchi.
L’antefatto. Qualche settimana fa ero a pranzo da un’amica. Avevamo esaurito una serie di gustose pietanze ed eravamo sazie, quando lei mi presenta un piatto e mi dice: “Devi assolutamente assaggiare questa. L’ho vista su un banco al mercato, mi ha attirato per forma e colore; mi hanno spiegato come pulirla e cucinarla e…” Non aveva ancora finito il suo preambolo che la stavo già assaporando ed è stato amore al primo assaggio!
Devo essere sincera: mi sono un po’ vergognata di non conoscere questa varietà di cavolo e non tanto per lo smacco alla mia fama di buongustaia, quanto per la consapevolezza di essermi privata per una vita intera di questa prelibatezza: una vera onta!
Conosciuta, soprattutto tra Lazio e Campania, come minestra, minestra nera, cavolo riccio a getti, cima nera, cavullill, il cavolo spigarello è un’antica varietà di broccolo, nota – pare – fin dai tempi degli antichi Romani e degli Etruschi. Difficile comunque stabilire veri e propri confini per il cavolo spigarello, dal momento che ritroviamo varietà molto simili (se non identiche) anche in territori più lontani, come la Puglia col suo Cole Rizze, il Veneto col Broccolo fiolaro di Creazzo e addirittura l’Inghilterra e gli Stati Uniti col celeberrimo cavolo riccio Kale, superfood ricercatissimo e di gran moda.
Lo spigarello nosTrano è un’ortiva molto generosa, in quanto si raccoglie da novembre a inizio primavera e, come alcune piante della stessa famiglia (Brassicaceae), forse dà il meglio di sé dopo le gelate, nel cuore dell’inverno.
Ha un sapore più delicato della cima di rapa eppure ha carattere e, se cucinata direttamente in padella, come si fa nel Lazio, saltata con olio, aglio, un pizzico di sale e poi stufata con l’aggiunta, se occorre, di un goccio d’acqua, conserva anche una certa croccantezza, oltre alle numerose proprietà nutritive.
In Campania si preferisce scottarla, se non addirittura bollirla, prima di utilizzarla nelle varie ricette, tra le quali la famosa minestra maritata.
Col classico battuto di lardo e cipolla, si può gustare in tantissime varietà di zuppa insieme, di volta in volta, a borlotti, cannellini, ceci o quanto ci detta la fantasia.
A me, che sto cercando di recuperare il tempo perduto e che quindi l’ho già assaggiata in molte versioni – semplice o con l’aggiunta di un pizzico di peperoncino e un’alicetta, ma anche con le lenticchie o nella frittata – piace in tutti i modi. La versione che preferisco, però, è con la pasta corta e l’aggiunta di guanciale croccante, una vera delizia.
Sono sempre più convinta che sia buono, pulito e giusto dare un’occhiata ai prodotti di stagione locali che arrivano sui banchi dei nostri mercati, perché alle volte può capitare di scoprire qualche tesoro nascosto legato alla tradizione del territorio o, più semplicemente, buono e basta.