Era fine Settembre quando andai nell’orto dietro casa con una cassetta di bulbi di zafferano. Ad aspettarmi c’era la mia zappa appoggiata all’ulivo.
Zappai per formare tre file di zafferano. In tutto misi a dimora 500 bulbi.
Perché lo zafferano? Per l’alto valore (voglio farne vasetti) e per avere un prezioso ingrediente in cucina. Costosa più dell’oro, questa spezia di origini orientali si può trovare sotto varie forme, ma la resa migliore dal punto di vista organolettico e visivo, è sicuramente data dallo zafferano in pistilli. I pistilli, o stimmi, sono i tre filini rossi che si trovano al centro del fiore e dai quali si ricava la polvere dorata che siamo abituati a vedere.
L’utilizzo dei pistilli al posto della polvere di zafferano richiede più tempo, ma il risultato finale vale sicuramente la fatica.
Vediamo come utilizzare i pistilli nelle nostre ricette.
I pistilli di zafferano non possono essere aggiunti semplicemente, bisogna tenerli in infusione per un certo tempo perché scarichino tutto il loro aroma.
Basta immergere i pistilli in una tazzina di acqua tiepida e lasciarli in infusione almeno per 40 minuti. Maggiore è il tempo di infusione, maggiore sarà l’aroma rilasciato. L’acqua deve rimanere tiepida: allo scopo potete mettere la tazzina a bagnomaria.
Il risultato è un’acqua dal colore giallo dorato e dall’aroma intenso. Filtrate l’infuso e aggiungetelo alle vostre ricette. Al posto dell’acqua potete utilizzare del latte se dovete preparare una crema, o del brodo se state cucinando un risotto.
Aggiungete l’infuso di zafferano solo a cottura quasi ultimata per evitare di perdere parte del suo aroma. Se non utilizzate subito l’infuso di zafferano potete conservarlo in frigorifero per 48 ore e utilizzarlo in seguito.
La storia dello zafferano
L’etimologia della parola Zafferano viene dall’arabo Za’feràn o “sahafaran” in persiano, passando per il latino “safranum“. La radice è il termine persiano “asfar” che significa “giallo”. Si tratta di un crocus, pianta della famiglia delle iridacee. Il Crocus sativus ovvero lo zafferano, deriva da una intensiva selezione sul Crocus cartwrightianus, pianta originaria di Creta.
La storia dello zafferano si perde nella notte dei tempi. Ne troviamo traccia nella Bibbia, dove è una delle piante aromatiche più pregiate che si trova nel giardino del Cantico dei Cantici. È menzionato dagli Egizi in un papiro del 1550 a.C. Viene citato da Virgilio, Plinio e altri cronisti dell’antichità. È raffigurato nel palazzo di Cnosso. I greci hanno due leggende mitologiche per spiegare l’origine del fiore: il giovane Croco fu trasformato in fiore dagli dèi, per punirlo dell’amore verso la bellissima ninfa Smilace. O forse è stato Mercurio a colpire per sbaglio l’amico Croco e per ricordarlo decise di tingere il fiore col rosso del suo sangue. Il croco è anche uno dei fiori del letto di nuvole di Zeus, come racconta Omero nell’Iliade.
Nell’antica Roma era usato nella cosmesi, nella pittura, e come colorante per l’abbigliamento per il caratteristico colore giallo che rilascia grazie alla crocina.
Le qualità organolettiche sono sempre state apprezzate in cucina, nel medioevo le spezie avevano un valore elevatissimo ed erano simbolo di ricchezza e raffinatezza e lo zafferano in particolare è sempre stato tra le più preziose aromatiche.
Il ritorno dello zafferano in Italia sembra sia dovuto ai monaci, nel medioevo. Da qui ha iniziato a diffondersi, in particolare in Sicilia, Sardegna, Umbria, Toscana e Abruzzo, zone in cui ancora oggi è diffusa la coltivazione.
Durante il Rinascimento si diffuse, soprattutto in Italia, l’uso di mescolarlo alle polveri degli affreschi per conferire ai colori una particolare luminosità.
Quando lo zafferano entrò a far parte dell’economia domestica, diventò un utile e piacevole ingrediente per cibi e bevande, adattando il suo luminoso colore dorato e la sua eccezionale fragranza ai dolci, alle paste, ai formaggi e al riso dal quale nacque una delle più note ricette italiane: il risotto allo zafferano.
La coltivazione
Coltivarlo non è complicato, ma bisogna calcolare i bulbi necessari per ottenere la quantità voluta. Per ricavare 1 grammo di zafferano essiccato, le stime dei fiori necessari oscillano da 100 a 150 circa. Dunque, quanti bulbi dobbiamo piantare? Dipende dalla grandezza. Facendo un calcolo approssimativo, con 4 fiori a bulbo, parliamo di 25-40 bulbi circa.
Per ricavarlo si coltiva il crocus sativus, che è una bulbosa, cioè un fiore che nasce da un bulbo. Si tratta di una pianta che ha un alto grado di adattabilità sia per il clima sia per il terreno, purché questo sia soleggiato e abbia un buon drenaggio.
Attenzione al falso zafferano selvatico: è velenoso e mortale. E lo stesso zafferano può risultare tossico e letale se ne ingeriamo 5-10 grammi.
La coltivazione dello zafferano si avvia più o meno nella parte finale dell’estate, da luglio a settembre in base alla zona geografica. Si piantano i bulbi con il ciuffo verso l’alto, a una profondità di circa 10-15 centimetri. Occorre fare delle file di solchi di 20 cm circa di larghezza. Ai lati bisogna prevedere due solchi più larghi in modo da poterci passare.
Poi basta aspettare che la natura faccia il suo corso, ovvero che le piogge nutrano i bulbi. Non si deve innaffiare.
Fiorisce verso ottobre- novembre. I fiori si colgono all’alba, prima che si aprano.
Nella stessa giornata occorre provvedere a prelevare gli stimmi, i filamenti rossi che, essiccati in un forno ventilato o nell’essiccatore, costituiscono la spezia. L’operazione è chiamata sfioratura o mondatura, si prende solo la parte rossa.
Nel frattempo, i bulbi restano nel terreno e dal bulbo madre si originano altri piccoli bulbi, i bulbilli. Si lasciano nel terreno nel terreno per 3- 4 anni e poi si espiantano e si ripiantano in un’altra porzione di terreno.
Ed ora vediamo due ricette: una sarda (la Sardegna è la terra che mi ospita) e una lombarda (la terra dove sono nata).
Paella all’Algherese o Paella a l’algaresa
300 g di riso
600 g di cozze e arselle
200 g di scampi
200 g di gamberoni
2 spicchi di aglio
1 cipolla
1 pizzico di zafferano
1 peperoncino
1 ciuffo di prezzemolo tritato
1 peperone
1 zucchina
100 g di piselli
1 bicchiere di vino bianco
olio buono
sale
Pulite arselle e cozze.
Mettetele in un tegame capiente, fatele aprire a fuoco vivo, spegnete e sgusciatele.
Filtrate il fondo di cottura, aggiungetevi un pizzico di sale e uno di zafferano, quindi allungatelo con acqua, fino ad ottenere circa un litro di liquido che metterete da parte.
Mondate tutte le verdure; tagliate a pezzetti i peperoni e le zucchine, tritate l’aglio e la cipolla.
In una padella soffriggete l’aglio con quattro cucchiai d’olio, quindi aggiungete le verdure a intervalli di cinque minuti, in quest’ordine: piselli, zucchine, peperoni.
Salate, aggiungete il peperoncino e cuocete a fuoco medio per una decina di minuti.
In un’altra padella soffriggete la cipolla tritata nell’olio, versate il riso, tostatelo per due minuti mescolando, quindi versate il vino e fate sfumare, unite a poco a poco il brodo dei molluschi e fate assorbire, continuando a mescolare.
Unite al riso le verdure, gli scampi e i gamberoni. Mescolate, badando che il riso copra il condimento. Abbassate la fiamma e cuocete per circa un quarto d’ora a tegame scoperto, senza mescolare.
Quando il riso è quasi cotto togliete dal fuoco, coprite e infornate a 200° per cinque minuti. Prima di servire unite le cozze e le arselle, mescolate, cospargete di prezzemolo tritato e servite.
Risotto alla milanese
300 g di riso Carnaroli
1/2 cipolla
30 g di midollo di bue
1 litro di brodo di carne
un bicchiere di vino bianco secco
una bustina di zafferano
50 g di burro
3 cucchiai di grana grattugiato
Sbollentate e tritate il midollo di bue.
Tritate la cipolla.
Portate ad ebollizione il brodo.
Fate soffriggere la cipolla tritata nel burro a fuoco basso, facendo attenzione che non prenda colore e unendo anche il midollo.
Alzate la fiamma, versate il riso, fatelo tostare insieme al soffritto per un paio di minuti mescolando con un cucchiaio di legno finchè i chicchi saranno ben sgranati e traslucidi.
Aggiungete il vino e, sempre mescolando, fatelo evaporare, mantenendo la fiamma abbastanza vivace.
Bagnate con un mestolino di brodo bollente, abbassate la fiamma e proseguite la cottura per 5-6 minuti sempre mescolando e unendo altro brodo bollente quando il precedente è assorbito.
Diluite lo zafferano in poco brodo e aggiungetelo al riso.
Portate a cottura sempre mescolando e unendo altro brodo bollente quando necessario.
A fine cottura il risotto deve presentarsi morbido e con i chicchi sgranati.
Mantecate incorporando una noce di burro e 3 cucchiai di grana grattugiato.
Se vi avanza, il giorno dopo potete fare il tortino di risotto.
Prendete una padella piccola e fate sciogliere del burro. Mettete una paio di cucchiai di risotto avanzato e schiacciatelo sul fondo in modo da formare un tortino non molto spesso. Cospargete di grana grattugiato e cuocete qualche minuto fino a che il tortino sia ben compatto e rosolato. Semplicemente divino!
Come è nato il risotto allo zafferano (piccola curiosità storica)
“A Milano verso la fine del 1300 erano in corso i lavori per edificare il Duomo. Un tal Valerio di Fiandra, un Maestro vetraio belga, incaricato per la realizzazione di alcune vetrate, aveva portato a Milano i più bravi dei suoi discepoli insieme a un giovane di spiccata maestria, soprannominato “Zafferano” per la consuetudine ad aggiungere un pizzico di zafferano all’impasto preparato dei colori, affinché risultassero più luminosi. Il Maestro durante il prosieguo dei lavori, per canzonarlo gli ripeteva continuamente che prima o poi avrebbe finito per mettere lo zafferano anche nel riso. Il giovane, dopo anni di presa in giro, nel giorno dei festeggiamenti predisposti per il matrimonio della figlia del Maestro, decise di escogitare uno scherzo e, con la complicità del cuoco, colorò con la polvere gialla il risotto preparato per il pranzo di nozze. Alla vista della portata lo stupore del Maestro fu grande ma, per non cadere nel ridicolo, si fece subito avanti per assaporare l’inusitato riso giallo. Uno dopo l’altro, tutti i commensali seguirono l’esempio e in un batter d’occhio consumarono interamente e di buon gusto l’eccentrica portata. A “Zafferano” la beffa non riuscì un granché bene, ma inconsapevolmente diede vita a una delle più straordinarie ricette gastronomiche italiane”.
Photo by Mohammad Amiri on Unsplash
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