Sei lento come una lumaca! Chi non l’ha sentito, almeno una volta, magari rivolto al proprio indirizzo? In realtà le lumache sono animali che hanno capito tutto della vita, e se la prendono giustamente comoda.
Peccato che la loro proverbiale lentezza le metta pericolosamente a rischio di cattura.
Premetto che a me le lumache cucinate fanno un tantino senso (per via del colore, della forma e della consistenza). Sono lombarda e la lumaca non rientra fra le cose propriamente commestibili (al contrario della rana, diffusissima nella Bassa).
Però, siccome sono un’assaggiatrice curiosa, le ho assaggiate, fin da ragazza, al ristorante (le famose escargot al burro, difficilissime da mangiare) e a casa di un mio amico (cucinate dalla mamma emiliana, al sugo, senza guscio e con polenta).
Assaggiate, non divorate.
Comunque in Sardegna sono considerate una vera e propria prelibatezza, e non c’è sardo che si rispetti che, dopo un paio di giornate di pioggia, non sparisca in campagna attrezzato di stivali di gomma e retino per la raccolta.
Quindi arrivano a casa e occorre un posto per tenerle per farle spurgare (in pratica devono stare a digiuno per un bel po’). In campagna quasi tutti hanno una rimessa o un porticato rustico: vanno bene anche appese nella loro reticella.
Occhio alle evasioni! Io mi sono ritrovata, in un’occasione, con il giardino infestato e tutto mangiato… Sono pure ermafrodite e si riproducono un bel po’: quella fuga ha prodotto un sacco di danni.
In Sardegna ce ne sono di diversi tipi, in pratica di tutte le misure.
Il tipo più grande è la Boveris o Coccoiddus o Babaloccas (Helix Aspersa): sono marroni, con striature tendenti al nero e hanno il guscio molto spesso.
La misura media è la Sitzigorrus o Gioggas (Eobania Vermiculata): sono le più comuni lumache di terra bianche a strisce marrone scuro.
La misura piccola è la Mongettas o Monzittas (Helix Aperta): sono completamente marroni, col guscio molto sottile. Vengono chiamate “monachelle” per il colore simile a quello della tonaca dei frati. Un altro nome per identificarle è “tappadas” per via del tappo bianco che si creano per il loro momenti “zen”…
La misura piccolissima è la Gioghittas o Cioggas Minudas (Theba pisana): sono bianche con striature marrone chiaro. I sassaresi ne vanno matti.
Vediamo come si cucinano in Sardegna.
Premessa per tutti i tipi (a parte le monachelle o tappadas al forno che vanno infornate così come sono, con il loro tappo): dopo la spurgatura (la cui durata dipende dal momento della raccolta: in pratica se hanno “pascolato” più o meno a lungo), vanno lavate benissimo e fatte bollire una ventina di minuti con acqua e sale (io ci aggiungo anche foglie di alloro e aglio).
Quelle di tipo grande (le Boveris o lumaconi) dopo la bollitura vengono saltate in padella con olio, aglio, prezzemolo, pane grattugiato finché i gusci non si riempiono del condimento.
Il tipo grande e medio finisce tranquillamente in padella. Una volta bollite e scolate si mettono in padella con aglio, olio e peperoncino, prezzemolo, timo e una buona passata di pomodoro allungata con acqua (è necessario che si mantenga il brodetto per inzupparci il pane casereccio).
Le monachelle (o tappadas ) possono anche essere infornate (ancora tappate) su una teglia coperta di sale.
Altro modo per gustare le monachelle: dopo la bollitura vengono ripassate in padella con olio, aglio, molto prezzemolo e una manciata di pane grattugiato.
Le piccolissime (quelle che piacciono ai sassaresi) di solito finiscono al sugo di pomodoro (sempre insaporito da aglio ed erbe aromatiche).
In questo momento, agli inizi di luglio, le lumache sarde sono nel loro momento zen: se ne stanno tappate appese a uno stelo di finocchietto selvatico.
Photo by Urmi (License: Creative Commons BY)
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