Da quando vivo in Portogallo, sono “perseguitata” dal baccalà.
È in ogni supermercato, in ogni ristorante, in ogni caffè che offra anche stuzzichini, persino nei negozi di frutta e verdura, nei banchi del mercato e sui camioncini degli ambulanti.

La fortuna di questo umile pesce ha le sue radici nell’ex impero coloniale portoghese e nell’abitudine lusitana di andare per mare. Pare un’assurdità, ma il pesce sotto sale era l’unica derrata alimentare facilmente conservabile a bordo delle navi. E fin dal Quattrocento i navigatori portoghesi commerciavano in baccalà con molti paesi, che vedevano in questo pesce conservato una notevole fonte proteica, anche ammessa dalle severe regole della Chiesa Cattolica in fatto di quaresima e giorni di cibo di magro.

Le isole Lofoten, in Norvegia, sono il luogo d’incontro dei merluzzi, che vi si recano per deporre le uova, solitamente nel mese di febbraio. La pesca quindi è ricchissima.

Fin dai primordi dell’umanità l’uomo ha avuto la necessità di imparare a immagazzinare e conservare le eccedenze di cibo. Per questo motivo, in assenza di congelatori e freezer, ha sviluppato moltissime tecniche, dall’affumicamento alla salagione. E, se consideriamo la facilità di deperimento tipica dei prodotti ittici, possiamo definire stoccafisso e baccalà una grande rivincita dell’intelligenza umana sulla fragilità della natura.


Fin da tempi molto remoti, il merluzzo è stato uno dei pesci più conservati, infatti già i vichinghi pare approfittassero delle facili e abbondantissime pesche per trarre sostentamento da questo umile abitante dei mari. Infatti, da tempi immemorabili, i pescatori dell’estremo nord hanno l’abitudine di conservare il pesce disseccato al sole e di mangiarlo crudo, senza cuocerlo, semplicemente strappandolo con i denti e masticandolo lungamente assieme a gallette, altrettanto dure.

Ancora oggi, chi visita quelle zone, si rende conto di quanto fondamentale sia la pesca del merluzzo per gli abitanti: ovunque si trovano rastrelliere con pesci stesi al sole ad asciugare e seccare, per produrre il famoso stoccafisso, lo stockfish, pesce legno.

Pare che già nel 1200 i pescatori portoghesi si siano spinti a nord a pesca di merluzzi, facili da catturare nella stagione degli amori, e altrettanto facili da salare e conservare sotto forma di “baccalà”. In effetti, la natura ha dotato questi pesci di una sorta di programmazione biologica: i merluzzi nel nord Europa si spingono ancora più a nord, verso l’Islanda e la Groenlandia, per incontrare partners provenienti dal Labrador e da Terranova, al fine di accoppiarsi, ed è proprio questa sorta di party tra merluzzi americani e merluzzi europei che ha permesso ai pescatori di riempire le reti con pescaggi eccezionali, che si aggirano attorno ai 30 milioni di capi all’anno.

Già sulle navi i merluzzi vengono puliti, decapitati, sviscerati e lasciati asciugare al vento qualche giorno, poi immersi in salamoia. Una volta a terra sarà completato il processo di salagione e saranno avviati al commercio.

Il merluzzo è come il maiale: non si butta via niente. Infatti, dal suo fegato si estrae il famoso olio, dannazione di tanti ragazzi di molti anni fa, costretti dalle madri a trangugiare quell’oleosa e puzzolente medicina, ricchissima di vitamine. Uova e interiora venivano conservate nelle botti e usate come pastura per la pesca alle sarde. Ma è facilissimo trovare, confezionate, le uova di baccalà per usi culinari in qualsiasi supermercato portoghese.
Addirittura, nelle isole lontane attorno alle quali i merluzzi vivono, i discendenti dei vichinghi usano persino la pelle dura del pesce al posto del cuoio.

Una nota culinaria:

Il baccalà è sostanzialmente filetto di merluzzo, sviscerato e pulito, senza testa né coda, né lisca centrale. Ha solitamente la forma di un triangolo, è morbido ma la carne è soda, ed è salatissimo. Per prepararlo al meglio sarebbe opportuno lasciarlo in acqua corrente (una bacinella con un filo d’acqua che scende dal rubinetto) per almeno 8-10 ore.
Lo stoccafisso è il pesce intero, sviscerato ma con ancora testa e coda, poco salato, essiccato. È talmente duro che va lasciato in acqua un tempo maggiore del baccalà. Secondo alcuni va lasciato in ammollo almeno una notte, secondo altri un paio di giorni.
Consiglio a ciascuno di fare delle prove per arrivare a ottenere il risultato desiderato.
Poi ogni cucina, nazionale o regionale, ha tentato di creare piatti particolari, a volte poverissimi,a volte lussuriosi, da gourmet, con un ingrediente che un tempo era povero, e, come ho sottolineato sopra, serviva soprattutto per preparare i pasti “di magro” comminati dalla Chiesa.
Oggi giorno che il precetto di “mangiar di magro” è seguito da pochissimi, possiamo godere della povera nobiltà di stoccafisso e baccalà tutti i giorni.

Photo Credits: Donatella Bucci

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E’ il direttore responsabile e la proprietaria del sito. Laureata in Lettere presso l’Università degli Studi di Milano, giornalista, iscritta all’ASA (Associazione Stampa Agroalimentare), degustatore ONAV e sommelier, è tra i più diffusi autori italiani contemporanei di cucina, studiosa di tradizioni popolari e ricercatrice di storia dell’alimentazione e della gastronomia, con, al suo attivo, un centinaio di pubblicazioni, tra saggistica e manualistica per editori quali Giunti, Mursia, Newton & Compton, De Vecchi, Xenia, ecc. Per anni ha scritto su un quotidiano a diffusione nazionale e su numerose riviste di settore. È presidente del CeSTAEG (Centro Studi Tradizioni Alimentari Eno Gastronomiche). Ragazza madre di undici gatti, vive sui Colli Bolognesi coltivando orto, rose, piante officinali e cucinando tagliatelle per gli amici. Se volete saperne di più visitate il blog: www.casarangoni.it o il sito: www.laurarangoni.com URL del sito web: http://www.laurarangoni.com
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