Si è svolto a Merida, Yucatan, dal 19 al 22 settembre 2019, il 17° Summit dei Nobel per la Pace.
Hanno partecipato all’evento ben 20 personalità insignite del premio e il programma si è rivelato corposo; l’attenzione dell’inviato di Cavolo Verde è stata però rapita dall’evento nell’evento, il cibo come impronta di pace.
Gli ospiti sul palco possono essere considerati a pieno diritto fra i maggiori rappresentanti della gastronomia mondiale: moderatore era Pedro Evia Puerto, proprietario e chef di Kuuk, ristorante con sede in Merida e di recente apertura anche in Città del Messico, già premiato anche come “Mejor Restaurante del Interior de la Republica” nel Food & Travel Reader Awards.
Relatori erano, nell’ordine: Enrique Olvera, chef del ristorante Pujol di Città del Messico, vincitore del World’s 50 best come miglior ristorante del Messico e America del Nord; Juan Manuel Barrientos, del ristorante El Cielo di Medellin, riconosciuto fra i 50 migliori ristoranti dell’America Latina, Juanita Bravo, la cuoca messicana i cui piatti hanno contribuito a far entrare la gastronomia messicana fra i patrimoni dell’umanità Unesco; Cristina Reni del progetto FoodforSoul della nostra gloria nazionale Massimo Bottura.
Il concetto che è stato fortemente veicolato al pubblico è stato: il cibo è strumento di pace.
Il cibo è stato declinato sì come fattore primario di sopravvivenza, ma anche come veicolo di cultura, tradizione, uguaglianza e quindi come mezzo di pace; e ogni relatore ha dato il proprio apporto personale a tale visione.
Enrique Olvera ha sottolineato il fatto che bisogna rendere edotte le popolazioni del valore della tradizione gastronomica e degli ingredienti, che non può essere più accettato l’assunto per cui si produca cibo di qualità (è stato fatto l’esempio di un tipo di fagioli di altissima qualità, di produzione limitatissima e territoriale) a costo di grandi sacrifici personali per poi vedere i produttori costretti neppure a venderlo per pochi spiccioli, ma a barattarlo brutalmente per cibi e bevande di grandi multinazionali che impongono i loro prodotti come valori nutrizionali assoluti.
Barrientos ha portato la propria esperienza come “cuoco di guerra” in Colombia, dove alcuni cuochi si sono organizzati per portare cibo alle popolazioni locali, sia al fine della prima alimentazione delle stesse, sia per ricordare simbolicamente ai civili che il mondo comunque si interessa a loro; si rischia infatti la vita per poter alimentare, e alimentare è il primo più importante gesto di affetto quotidiano. Ha parlato altresì di equità nell’accostamento alle risorse, più che di uguaglianza, facendo presente che per arrivare all’uguaglianza di sfruttamento delle risorse bisogna prima passare dalle opportunità concretamente fattibili.
Juanita Bravo ha sottolineato l’importanza di compiere ogni azione, anche quella del cucinare, con senso di responsabilità e attenzione, di utilizzare una cucina rispettosa degli ingredienti come esempio di correttezza morale per le persone che ci sono vicine. E raccomandandosi di “contagiare” più persone possibili con il vizio di un’attività di valore etico.
Cristina Reni ha illustrato “Il Refettorio” il progetto Food for Soul di Massimo Bottura, una catena di mense per persone senza alcuna risorsa economica, però di cibo di qualità, sottolineando che il cibo è anche dignità e rispetto per le varie tradizioni culturali da cui comunque gli emarginati arrivano.
È molto interessante, per chi scrive, poter osservare il cibo, la culinaria, la gastronomia non solo dal punto di vista tecnico o dei sensi, ma anche dal punto di vista dello strumento utile per poter veicolare principi etici e per unire i popoli, come strumento in grado di colmare, per la sua parte, le diseguaglianze, proprio tramite il suo valore universale.
Il cibo come regola morale per poter affrontare la vita, insomma.
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