Sono a pochi metri da Heinz Beck.

Lui parla di risotto e spiega come nella tostatura del riso la fiamma non debba essere troppo alta o l’amido uscirà tutto subito e non ne resterà per la mantecatura. Trovare lui qui, nello spazio dedicato ai corsi di cucina, è stato come vedere apparire la Madonna. Infatti mi sento un po’ alticcia dopo i due sorsi del drink generosamente offerto alla stampa nel corso dell’opening di questa mega-fiera del gusto della capitale, giunta quest’anno all’ottava edizione.

Da mangiare, però, neanche le patatine pubblicizzate da Carlo Cracco…

Così, per evitare il peggio, lascio il bicchiere ancora mezzo pieno sul primo tavolino che trovo e faccio un giro degli stand. Il caratteristico accento di Heinz arriva a ricordarmi dove mi trovo. Dovrebbe piacermi. E allora perché avverto questa punta di noia? Non certo per lui. Cerco di analizzare meglio la situazione e mentre lo faccio automaticamente mi volto e comincio ad allontanarmi. Ormai non sento quasi più la sua voce. Ecco, sono quasi all’uscita. Mi volto e lo scenario appare quello classico che si vede nei film dopo che un accampamento è stato devastato da un incendio o in un campo si è appena svolta una battaglia…: gente brancolante dallo sguardo perso, stile sopravvissuti a una catastrofe, atmosfera distopica…

Devono essere i fuochi dei barbecue, mi dico, cercando di razionalizzare.

Ripenso alla fatica fatta per capire dove si sarebbe svolta la conferenza stampa, l’incontro con vari colleghi altrettanto confusi, la ricerca del luogo fatidico, individuato infine solo grazie alla presenza di un gruppetto in abito da sera e un altro in divisa da chef in evidente attesa di qualcosa… E a quel punto la speranza dell’ingenua che sono che tutto sia stato appositamente studiato per creare l’effetto sorpresa, che di lì a breve avremmo sicuramente assistito a chissà quale diavoleria, un’idea geniale, il coniglio dal cappello, i fuochi d’artificio… Niente. A parte ovviamente tante parole spese in presentazioni, ringraziamenti a questo e a quello, lodi, encomi. E poi il taglio del nastro che tra l’altro non vuole saperne di essere tagliato, il che causa un attimo d’imbarazzo, come quando al varo di una nave la bottiglia sbatte contro la prua ma rimbalza e non si rompe… Infine, naturalmente, le foto con le cupole dell’Auditorium sullo sfondo in una romantica luce crepuscolare. Io l’avrei intitolata: “parata di chef con rebus” e il rebus uno di quelli difficili, intendiamoci, senza le letterine d’aiuto, anzi un rebus stereoscopico, perché le foto sono davvero tante e in pose varie. E io sul prato che assisto e fotografo da una posizione privilegiata – penso – finché non mi sento pungere una caviglia e allora guardo e scopro che un esercito di formiche inferocite ha deciso di sferrare l’attacco e banchettare con me, vista la totale assenza d’altro…

Torno al presente. Sono ai varchi. L’evento, almeno per me, è concluso.

Fin dall’inizio non avevo una bella sensazione, ma sono una persona curiosa e mi sono forzata a restare. In ogni cosa c’è del buono. Io però qui non l’ho trovato. Un po’ come quando avverti fuffa nel mondo dello spettacolo, cioè quasi sempre. Magari sono io, non lo escludo. E anzi me lo auguro. Mi auguro che Taste 2019 sia una specie di motore diesel: combustione lenta ma affidabile. Mi auguro che qualche mio collega faccia un’incredibile esperienza sensoriale, perché sarebbe un vero peccato non potersi esprimere all’assaggio; e se non proprio su tutti e cinque i sensi – tra l’altro protagonisti dell’evento – almeno su uno: il gusto! E sì, perché mi si ribatterà anche che i giornalisti del food vogliono sempre mangiare, ma in effetti se non assaggiamo di che parliamo? Dovremmo riempirci la bocca di tutto tranne che del nostro pane quotidiano?

E se invece provassimo a semplificare? Ecco, Taste per esempio.

Non sarebbe stato sufficiente anticipare l’evento per i giornalisti e posticipare l’ingresso del pubblico? E non di una sola mezz’ora! Non sarebbe stato sufficiente offrire dei fingerfood (uno a chef e del colore prescelto) tanto per dare una connotazione precisa di ognuno? Un petalo del fiore all’occhiello di ciascun ristorante, in un’intrigante ‘m’ama-non-m’ama’ di assaggi! Magari uno spunto per l’edizione 2020? Chi lo sa? Let’s Taste it! (Naturalmente rivendico il copyright!).
Ormai sono in metropolitana. Mi sento pungere il collo. Con la mano schiaccio l’ennesima formica. Poi mi pento: poverina, magari le ho fatto pena e voleva solo accompagnarmi a casa…

M. Cristina Di Nicola, attrice e traduttrice, nasce a Teramo e vive a Roma ma ama la neve, il freddo e le aurore boreali, quindi un giorno chissà?  Appena può viaggia e se non può cammina – preferibilmente il mattino presto – in montagna, nei parchi, in città, ovunque!  Non ha mai smesso di stupirsi del mondo e prova a fermare la sua meraviglia con la macchina fotografica o con la penna. Golosa e curiosa, ha il culto del cibo, come elemento conviviale, culturale ma anche di puro divertimento.