La boca no l’è straca se non la sa de vaca… Era sempre con questa frase che la zia m’invitava ad assaggiare almeno un pezzettino di formaggio prima di concludere un già lauto pranzetto, quando andavo a Milano a trovarla. Un rito a cui non potevo sottrarmi. Così come non ho potuto sottrarmi a Formaticum, mostra mercato delle rarità casearie italiane, una prima edizione di due giorni organizzata a Roma lo scorso fine settimana da La Pecora Nera Editore, casa editrice a indirizzo enogastronomico, e Vincenzo Mancino, autore, ristoratore, mastro casaro e molto altro. L’evento si è tenuto in uno spazio da poco restituito ai Romani dopo anni di degrado e abbandono: l’ex Casa della GIL (Gioventù Italiana del Littorio) a Trastevere, oggi WEGIL, interessante edificio razionalista dei primi anni Trenta del secolo scorso, opera di un giovane Luigi Walter Moretti, lo stesso architetto che trent’anni dopo realizzava oltreoceano – pensate – il complesso di edifici del Watergate… Tranquilli, a Formaticum nessuno scandalo!
Chi ha varcato la soglia dello storico palazzo di Largo Ascianghi ha potuto assaggiare e acquistare il meglio dell’eccellenza casearia italiana: formaggi pluripremiati, prevalentemente a latte crudo, realizzati artigianalmente e nel rispetto degli animali. I banchi dei prodotti, suddivisi per tipologia di latte (vaccino, caprino e ovino), occupavano tre piani. L’affluenza, benché massiccia, è stata molto ordinata. E questo è sorprendente, considerato che il prezzo d’ingresso di cinque euro comprendeva assaggi liberi, una prima consumazione al calice e perfino il calice stesso in omaggio. E, oltre al vino, c’era la possibilità di scegliere birra artigianale da accostare ai formaggi.
Uno dei vari seminari tematici gratuiti della manifestazione aiutava proprio ad orientarsi nei vari abbinamenti. Prediligendo i formaggi stagionati, io ho optato per una Strong Ale, di un bel color ambra, birra robusta e complessa, che ha esaltato la sapidità dei miei assaggi, regalando al palato piena armonia di gusto. E a proposito di assaggi…
Premesso che si parla sempre e comunque di prelibatezze, una menzione particolare meritano senz’altro le regioni di Abruzzo, Molise e Sardegna. Della prima dannunziana ‘terra dei pastori’ è doveroso citare fra tutte l’azienda agricola La Mascionara di Campotosto e i suoi formaggi ovini a latte crudo: buono il Caciofiore Aquilano, PAT a pasta molle, prodotto con caglio di cardo; ottimo l’Amatriciano nelle sue diverse stagionature, frutto del latte degli allevatori del Consorzio di Amatrice; superlativa la Crema di Pecorino, che ha trasformato il formaggio marcetto dei pastori in una purea raffinata: rispetto per le norme igieniche sì, ma gusto deciso e avvolgente della tradizione pure!
Ovini a latte crudo anche per l’azienda sarda Erkiles, produttrice in Barbagia di un’intera linea di formaggi a caglio vegetale dedicata ai veri vegetariani; il signor Curreli, titolare del caseificio artigianale, offriva assaggi ai visitatori di Formaticum ma, in linea con la protesta del latte dei pastori sardi, rinunciava alla vendita.
Di tutt’altro genere l’assaggio molisano fatto al banco dell’azienda Di Nucci: una vera sorpresa quella della stracciata, un formaggio fresco a pasta filata di latte vaccino, particolare per la forma appiattita e allungata, avvolto come fosse un bizzarro burro di malga, ma soprattutto per il suo sapore fresco, delicato e al contempo di carattere.
Al termine di questa incredibile avventura tra i migliori formaggi d’Italia ci si sente davvero bene, quasi come dopo una gita in campagna e, tornando al traffico romano, ripensiamo alla storia di Stefano Tozzi e Szuzsanna Komaromi, italiano lui, ungherese lei, che si sono incontrati lungo il cammino per Santiago di Compostela, si sono innamorati e hanno messo su l’azienda Le Caprette di Zsu nella valle dell’Aniene e oggi allevano capre, producono formaggi e perfino saponi artigianali. Capiamo bene quando lei, che faceva l’ingegnere, ci dice che non tornerebbe mai indietro. Eccome se capiamo!
Maria Cristina Di Nicola