“L’anno prossimo parto prima delle vacanze e vi arrangiate!” Era la frase che mia madre, con la testa avvolta in un enorme fazzoletto che le proteggeva la piega appena fatta, ripeteva puntuale ogni anno alla Vigilia di Natale, alle prese con la frittura dei calcionetti.
Sì, perché per gustarli appieno andavano mangiati freschi e non si poteva friggerli con molto anticipo o Natale non sarebbe stato Natale. E io che avevo seguito attenta tutte le fasi, dalla tostatura delle mandorle alla macinatura delle castagne, alla preparazione della sfoglia, non vedevo l’ora di assaggiare quello scrigno di sapori. Chi sa se l’interno quell’anno era abbastanza equilibrato. C’era poco rum? Si sentivano troppo i ceci? L’esterno era sufficientemente friabile? Al momento fatidico tutti avremmo guardato mio padre, buongustaio, e avremmo capito. Ah, i calcionetti…
Diffusi in diverse varianti un po’ in tutto il centro-sud (calciuni molisani, calzoncelli campani, caviciuni pugliesi, ecc.), anche in Abruzzo cambiano da una città all’altra, da un paese all’altro, perfino da una famiglia all’altra, ma sulla tavola natalizia non mancano mai.
E sembra proprio riferirsi ai calcionetti l’abate Berardo Quartapelle, agronomo e scienziato teramano del settecento quando, parlando dell’uso dei vari tipi di ceci scriveva: “Coi ceci bianchi cotti nell’acqua, e poscia pestati se ne fanno dei raviuoli, vivanda di ceci pestati condita col pepe e col mele o col zucchero chiusa in piccoli pezzetti di pasta”.
Se effettivamente, come riporta l’abate, l’elemento principe del ripieno al sud è il cece, man mano che si sale verso nord troviamo, nelle dosi, una spiccata preferenza per le castagne. Gli altri ingredienti imprescindibili di questa sorta di raviolo dolce sono in parti variabili: cioccolato, mandorle, zucchero, cannella e rum; qualcuno aggiunge limone o arancia grattugiati, caffè, miele e perfino cedro candito.
La sfoglia invece dev’essere semplice: farina, olio, vino bianco. Alcuni credono di migliorare la ricetta con le uova e gli aromi, ma i puristi inorridiscono. Le tante variazioni sul tema, non devono però stupire se pensiamo all’origine del nome: è evidente infatti che da calza a calzone a calcione e poi calcionetto (diminutivo/vezzeggiativo) il passo è breve; e come riempire questa ‘calza’ se non con gli ingredienti di cui ciascuna massaia avveduta dispone maggiormente in dispensa al cambio di stagione? I calcionetti – ‘li caggenitte’, in dialetto teramano – sono dunque dei veri e propri gioielli di dolcezza che uniscono, come i piatti più riusciti della nostra cucina, sapore, tradizione e pragmatismo. Insomma, una bontà!