Care lettrici e cari lettori del Cavolo Verde,
mi presento: mi chiamo Francesco Bravin e sono un antropologo culturale. Se per caso vi state chiedendo cosa faccia un antropologo culturale, tranquilli: non sareste certo i primi a farsi questa domanda! Mi hanno scambiato per un giornalista, un archeologo, un paleontologo, un patologo, un “topologo” e chi più ne ha più ne metta.
L’antropologia è una disciplina che studia la cultura e la società. Il metodo usato dagli antropologi si chiama “etnografia” e si basa in gran parte sulla cosiddetta “osservazione partecipante”: si trascorre cioè un periodo di tempo prolungato presso la società che si vuole studiare, cercando di “cogliere il punto di vista dei nativi”, per usare le parole di uno dei padri fondatori della disciplina (Bronisław Malinowski, Argonauti del Pacifico occidentale, Bollati Boringhieri, 2011).
Anche se in origine l’antropologia si occupava soprattutto di popolazioni lontane ed esotiche, oggi penso che possa e debba rivolgere il proprio sguardo anche alla società di cui facciamo parte, in modo da rendere familiare ciò che è estraneo e rendere estraneo ciò che è familiare. Studiare l’Altro per capire sé stessi.
Mi occupo soprattutto di antropologia del cibo e di antropologia del turismo. Ho svolto una ricerca di campo alle Cinque Terre, dove ho studiato la relazione fra le politiche locali di tutela e promozione del territorio e la costruzione di un discorso identitario in chiave turistica, concentrandomi in particolare sul ruolo svolto dai prodotti tipici. Come potete immaginare, non ho potuto fare a meno di partecipare a tutte le sagre e le degustazioni di vini che si sono svolte alla Cinque Terre durante la mia ricerca. D’altra parte, è tutto lavoro di campo: uno sporco lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare.
Vi parlerò di questa e altre esperienze, portandovi con me alle Cinque Terre, ma anche in Australia, in Nuova Zelanda, in Kenya, in Cina e alle Seychelles. Insieme parleremo di cibo, ma anche di relazioni sociali, di potere, di magia e di stregoneria.
A presto e buon viaggio!
-
Di recente hanno fatto la loro comparsa nei supermercati prodotti che tentano di imitare e sostituire la carne: dalle bistecche di seitan alle cotolette di soia, per arrivare fino agli hamburger vegetali. Questi prodotti…
-
Cari lettori, arriviamo finalmente all’articolo che corona idealmente questa piccola serie sul cibo come prodotto culturale. Già, perché il cibo è prima di tutto un prodotto culturale, eppure, riguardo al cibo sentiamo spesso usare il termine “naturale” a sproposito…
-
Tutti conosciamo il detto “mangiare per vivere, non vivere per mangiare” e non si può negare che il cibo sia uno dei bisogni primari più importanti, direi sul podio insieme all’aria che respiriamo e all’acqua che beviamo…
-
Se non abbiamo mai mangiato insieme siamo completi estranei, mentre se abbiamo condiviso il cibo, ecco, siamo almeno conoscenti, possiamo trattarci con un po’ più di confidenza, magari perfino scherzare insieme…
-
Quali sono i nomi “giusti” dei pasti? E quali sono i loro orari? Insomma… quando si mangia?
-
Un aspetto importante delle situazioni legate al cibo è costituito dalle “buone maniere”. Ogni società sviluppa le proprie, ma persino al suo interno possono cambiare, nel tempo, nello spazio e fra gruppi sociali diversi…
-
In molte culture sono presenti dei tabù alimentari, alcuni dei quali possono sembrarci incomprensibili o assurdi. Ma, analizzando meglio la questione, ci accorgeremo che non solo i tabù alimentari non sono affatto assurdi, ma anche che ce li abbiamo pure noi…
-
Forse può sembrare scontato, ma il cibo è un prodotto culturale. A partire da cosa mangiamo e cosa non mangiamo, come e quando lo mangiamo, con chi lo mangiamo e perché lo mangiamo, per non parlare di come viene prodotto e trattato, non c’è praticamente nessun aspetto del cibo che non sia permeato di cultura.
-
Le acciughe salate erano chiamate u pan du màa, cioè “il pane del mare”, in quanto erano uno degli alimenti più poveri e a buon mercato, insieme al pane, al vino e all’olio. È interessante notare come invece oggi le acciughe salate di Monterosso siano uno dei prodotti più costosi sul mercato.
-
Monterosso è l’unica Cinque Terre ad avere lunghe spiagge. Se oggi questo garantisce a Monterosso una vocazione turistica balneare, un tempo permetteva agli abitanti un’attività di pesca altrettanto importante dell’agricoltura basata sui terrazzamenti, dato che le barche potevano essere tirate in secca sulle spiagge e le reti potevano esservi messe ad asciugare. La pesca più importante fra tutte era la pesca all’acciuga.
-
Si tratta di un vino passito con gradazione alcolica di almeno 13,5°, giallo dorato con riflessi ambrati, dal profumo intenso passito con note di miele, dal sapore dolce e abboccato, con retrogusto mandorlato.