Erano i primi anni del 2000 quando sentii parlare di Anthony Bourdain e del suo libro Kitchen Confidential. Era Daria Bignardi a parlarne nella “Mezz’ora Daria” che trascorreva in radio recensendo libri; mi ha sempre colpito il suo modo d’incuriosire gli ascoltatori e per questo ho seguito più e più volte i suoi consigli e acquistato i libri di cui parlava.
Kitchen Confidential non è che uno tra i tanti.
Nel libro lo chef Anthony Bourdain parla in prima persona e ci racconta la sua iniziazione ai fornelli, il percorso che l’ha portato a diventare uno dei migliori chef della Grande Mela. Da lì in poi la sua vita è stata un susseguirsi di successi, in cucina, in libreria e in televisione con il suo girovagare per il mondo alla ricerca della cucina più estrema, alla scoperta di sapori a volte così lontani dalla cultura occidentale da sembrare di un altro pianeta.
Quando uscì, nel 2000, il libro era rivoluzionario perché metteva a nudo segreti della vita in cucina di cui nessuno aveva mai osato parlare; “un libro irriverente” scrissero; in realtà se per irriverente s’intende un’opera che segue il percorso di vita dell’autore come se fosse una telecamera, dentro e fuori la sua mente, i suoi pensieri, la sua cucina e che non cela nulla ai lettori allora sì, Bourdain è stato irriverente, svelando cose che nessuno, in quel mondo, voleva che si sapessero.
Chi acquista questo libro può scordarsi di leggere il resoconto di un universo dorato come appare agli occhi di noi italiani.
Da quando Vissani ha portato la cucina in Tv ha portato anche gli chef, protagonisti alla ribalta che spesso offuscano le loro stesse creazioni con una presenza scenica a volte artificialmente costruita.
Negli ultimi anni poi, non si contano le trasmissioni televisive a tema culinario, gli chef sono usciti dalle loro cucine, si solo lavati letteralmente le mani e hanno messo il cerone per apparire sempre al meglio davanti alle telecamere. Se a tutt’oggi quelli più conosciuti alla massa sono anche quelli di aspetto più gradevole (leggi Cracco, Oldani, Borghese, Rugiadi) non è certo un caso fortuito.
Anche per questo amo il libro di Bourdain e ve ne consiglio la lettura. Della cucina, quella vera, quella fatta di brigate affiatate, di amicizie indissolubili, di orari massacranti io ne sento parlare da anni e quindi so che la verità non è nel mezzo ma è tutta in Kitchen Confidential.
I personaggi che si susseguono nel libro sono uomini veri, molto fisici e abituati a lavorare in cucina con tutti e cinque i sensi.
Se c’è una cosa che lega questi personaggi agli chef così come siamo stati abituati a conoscerli è il loro senso di onnipotenza, come se il potere che hanno di assurgere vegetali, cereali e animali a piatti paradisiaci li facesse sentire dei resurrettori.
Gli chef si sentono Dèi, il punto è questo. E non si vergognano di fartelo notare (non a caso il libro si conclude con una frase che è sintesi dello spirito che permea ogni pagina. Il cuoco ha sempre ragione. Vi sfido a dimostrare il contrario.)
Leggendolo scoprirete anche che “chef” lo si è ventiquattro ore al giorno: quando si gira nei mercati, si cercano i fornitori migliori, ogniqualvolta ci si misura con le cucine altrui e se ne trae il meglio per poi trasformarlo e adattarlo, quando si sperimenta e ci si esalta davanti a una nuova idea.
Ma chef lo si è anche e soprattutto a Natale, a Pasqua, nel giorno del Ringraziamento e in tutte quelle feste che si vivono lontano dalla famiglia e vicinissimo alla famiglia adottiva, quella della brigata, con cui si condividono esperienze, passioni, giochi e molto spesso segreti, tanti segreti fatti di trasgressioni, a volte droghe, alcool e sesso (a tal proposito una chicca tratta dal libro è il racconto della sposina che si apparta con uno della brigata durante il ricevimento nuziale).
L’autore ci parla di un lavoro che prima di tutto è passione, perché se non fosse la passione a muovere gli uomini, questi non accetterebbero i sacrifici che questa professione richiede.
Se c’è del genio e della sregolatezza nella sua cucina, lui non fa che raccontarcele così come sono, nude e crude, senza preoccuparsi di come reagiremo e di cosa ne trarremo, questa è la vita degli chef, questa è stata la sua vita a New York come a Parigi o a Tokyo, “così è se vi pare” avrebbe detto Pirandello.
Ero stata attratta dal libro per il desiderio di scoprire i meri segreti dei ristoranti, come il motivo per cui faccio bene a scartare la “specialità del giorno” o perché, nel dubbio, sia meglio evitare il cestino del pane ed invece ho scoperto anche altro: che i coltelli non sono semplicemente utensili ma sono compagni fedeli che ogni chef sceglie e acquista uno ad uno (e sono acquisti di un certo valore) che coccola e affila personalmente a fine servizio; ho scoperto che cosa significhi “lavorare sul pulito” e quanto sia importante farlo e che in cucina ci si taglia spesso, con conseguente uscita di sangue. E qui mi fermo e passo a voi la palla. Bourdain vi scioccherà, vi insegnerà e non deluderà le vostre aspettative. Se poi ogni tanto, mentre leggete, vi soffermerete a pensare ai vari Master Chef, Cuochi e Fiamme e Hell’s Kitchen, vi strapperà anche un sorriso divertito. Scommettiamo?
Vicedirettore di questa rivista nonché blogger, giornalista, laureata in comunicazione, parlo di food ma non solo; recensisco locali ed eventi, racconto di persone e situazioni su siti e riviste. Qui su Cavolo Verde – sperando di non essere presa troppo sul serio – chiacchiero, polemizzo, ironizzo, punzecchio e faccio anche la morale.
In sintesi? Scrivo – seriamente – e mi piace. Tanto.
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