Premetto che definire la cucina messicana è difficilissimo; un territorio tanto immenso e con una storia e una identità culturale così marcate in ogni Stato della Confederazione non possono che produrre una quantità infinita di piatti.
Ma per presentarvi la cucina messicana parto dal Chilaquile.
È un piatto che mette d’accordo tutti, e che non esiterei a definire il “comfort food” messicano, un po’ il corrispondente della nostra lasagna.
È una pietanza che si consuma per colazione (in Messico non è molto diffusa l’abitudine di iniziare la giornata con qualcosa di dolce) e deriva dall’abitudine antichissima di fornirsi sin dal mattino di molta energia, anche per lavori altamente fisici.
La parola CHILAQUILE deriva dall’antico idioma preispanico Nahuatl (chilaquilli), e significa “messo nel chile”.
È composto da una base di totopos (le nostre “polentine”, che in Italia qualcuno definisce erroneamente nachos), conditi con una salsa di chile verde o rossa; a questa base vengono aggiunti ingredienti di proprio gusto ma il classico chilaquile contiene o pezzetti di pollo lesso o uova fritte.
Si aggiungeranno alla fine cipolla ad anelli, cilantro tritato (coriandolo) e crema di latte per guarnizione.
Se ben preparato, questo piatto raggiunge un equilibrio di sapori (piccante, salato, dolce e amaro insieme) che giustifica la imperitura passione che tutti i messicani hanno per questa robusta e saporita colazione.
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Ma voi li avete mai mangiati i datteri, quelli veri? Quelli che nulla hanno a che fare con quei pove-ri frutti secchi tutto nocciolo, costretti e soffocati negli impacchi di plastica e polistirolo, tristi comparse di un finale frettoloso del pranzo di Natale?
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Oggi parliamo di lusso, quello vero. Quello che non deve essere confuso con la ricchezza, intendiamoci.
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David Cetina ha ricevuto molti riconoscimenti anche internazionali per la sua opera di divulgazione e preservazione della cultura gastronomica yucateca (è in contatto con Massimo Bottura e ha anche partecipato a trasmissioni Rai), ma orgogliosamente la prima cosa che rivendica è l’essere discendente di una famiglia “restaurantera” e di averne ereditato la tradizione culinaria, tramandatasi nel corso del tempo.